Piccole Donne Crescono - Louisa May Alcott

Il mio primo incontro con piccole donne risale a quasi un anno fa, sulla soglia dei 30 anni … ma tutto quello che avevo da dire all’epoca l’ho già detto.
Ho dovuto lasciare un po’ d’acqua scorrere sotto i ponti prima di cimentarmi con il secondo il vero problema è che dopo questo non sono affatto certa di voler andare avanti.
Avevo fatto certamente i conti, prima di avventurarmi per questo strano percorso, che mi sarei trovata davanti ad un prodotto ottocentesco, una narrazione d’altri tempi… eppure Jo mi lasciava ben sperare, così come mi ha lasciato ben sperare per buona parte di Piccole Donne Crescono.
Mea Culpa: non avevo la più pallida idea della trama. Probabilmente anche i muri la conoscono, probabilmente vivo su marte, non mi sono mai imbattuta in un film, una fanfiction, un telefilm o qualcos’altro a tema Piccole Donne.
All’inizio del romanzo Meg convola finalmente giuste nozze, si trasferisce a vivere con il marito e di lei si sa ben poco per il resto del romanzo, fatta eccezione per le sue crisi isteriche ai fornelli.
Per quanto riguarda le altre: Beth muore, e ce ne facciamo tutti molto presto una ragione, Amy continua a folleggiare in giro per il globo cercando di dare un senso alla sua vita, mentre Jo cerca di essere madre, padre e sorella maggiore per tutti gli altri della famiglia. La cosa divertente è che del padre, per il quale ci siamo rovinati il fegato nel primo romanzo, oggi non parla più nessuno.
All’apice della vicenda narrata Jo prende una decisione dura e difficile: respingere l’amore che gli è stato dichiarato da Teddy, l’eterno vicino di casa, fratello maggiore, compagno da tutta la vita e anima gemella da quando si sono conosciuti in virtù della sua sacrosanta autonomia. Scelta discutibile ma coraggiosa. Molti in famiglia sono quelli che le consiglierebbero di accettare, lei stessa è tentata di farlo ed è certa che il profondissimo affetto che li lega da tutta la vita certamente non sarebbe mai venuto meno, ma preferisce dedicare questo momento della sua vita ad altro. Per rendere la decisione più sopportabile e meno vana per tutti si allontana anche dalla casa di famiglia per trasferirsi per un periodo a New York. Lì apre gli occhi, conosce nuove persone, inizia a scrivere e guadagnare con la propria arte ma il senso di colpa ha la meglio. Molla tutto, torna a casa e, praticamente, dona quanto guadagnato alle sue sorelle. Non sia mai che si abbiano anche delle soddisfazioni nella vita.
Aperta parentesi: a New York, a casa della zia, conosce anche un vecchio professore di filosofia al quale chiederà di insegnarle un po’ di tedesco. E tutta questa faccenda sembra essere morta qua. Una volta tornata a casa le cose si complicano inevitabilmente, le condizioni di salute di Beth peggiorano sensibilmente, Amy, che è sciocca come una talpa vola dalla parte opposta del mondo a non si sa bene far cosa, Teddy insiste perchè lei lo sposi ma riceve un altro due di picche e Meg… boh! Meg piange, fa figli, riceve discutibili consigli sul come essere una buona mamma e una buona moglie ed affronta in serenità il tradimento del marito. Ovviamente l’autrice non ci parla espressamente del tradimento, pur lasciandocelo intuire, ma ci spiega alla grande come in fondo, se un uomo tradisce, sia tutta colpa della moglie. Perfetto.
In sostanza Jo rimane l’unica sana di mente a star dietro a sua sorella morente e, una volta morta, il dolore la sgretola dall’interno. Nessuno le sa stare vicino come dovrebbe e, il ritorno di Teddy nel frattempo felicemente sposato con Amy, le da il colpo di grazia.
Tutto il monologo sul cuore assetato d’amore e sul senso di solitudine è qualcosa di straziante… se non fosse che la ragazza fino ad un secondo prima faceva la splendida con tutta la propria indipendenza, autonomia e la propria arte in virtù della quale voleva continuare a viaggiare libera e felice per il mondo. I propri capelli corti e l’astio per buone maniere, pizzi e merletti. Che è una scelta: non ne esiste una più corretta di un’altra. Peccato che tutta questa ribellione e questa anarchia sia morta in fretta nel momento in cui (e lo dice lei stessa) sono arrivati i 25 anni (che per l’epoca sospetto essere moltissimi per una donna) si è trovata la zitellaggine alle porte e cosa pensa bene di fare la nostra eroina? Sposa il primo che passa che, tra l’altro, era il vecchio professore di filosofia al quale non ha neanche pensato di striscio per anni dopo essersene andata da New York. Boom!
Da questo romanzo ho accettato di buon cuore quasi tutto. Ho preso bene i consigli per essere una buona moglie, soprattutto in considerazione dei consigli che nel merito sono stati dati, ho capito e tollerato la maggior parte delle questioni futili che affollavano i poveri cervelli delle donne March, ho persino perdonato alla nostra società l’aver considerato questo come un libro formativo generazione dopo generazione. Quello che più mi ha mandato in bestia è stato lo sgretolarsi della personalità costruita fino a quel momento di Jo.
Non ha senso: è stata un personaggio forte, concreto, determinato ed anche controcorrente per molte delle posizioni assunte fino a quel momento. Cambiare idea è umano e non gliene faccio una colpa: cedere senza colpo ferire allo stereotipo che ha combattuto per tutta la sua vita questa sì che è una colpa. Anche per un romanzo ottocentesco. Anche per le “donne d’altri tempi”. Fosse stato veramente “d’altri tempi” per come intendiamo noi il termine, Jo non sarebbe mai dovuta nascere. Invece è nata, solo che ad un certo punto è morta schiantata contro un treno.

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