Paso Doble - Giuseppe Culicchia
Ci sono ricascata. Non sembrava neanche una circostanza altamente improbabile conoscendomi e conoscendo la mia propensione al masochismo, ma sono nuovamente inciampata in Giuseppe Culicchia e, in questo caso, in paso doble… che non è niente di meglio che… il seguito di tutti giù per terra. Non me lo potevo lasciar sfuggire.
Per i meno attenti, il protagonista indiscusso del primo volume era Walter, giovane arrembante, figlio degli anni ‘80, che, nella vita, per principio, non ha voglia di fare una mazza. Lo vediamo ciondolare per le vie di Torino ad escogitare sistemi alternativi al crescere, maturare, assumersi le proprie responsabilità e tutto quello che ne deriverebbe di conseguenza intorno ai 20 anni, conclusa la scuola dell’obbligo, nella tipica età in cui dovrebbero essere prese delle decisioni. Le sue, di decisioni, sembrano tutte rivolte al continuare a non fare una mazza negli anni a venire.
In questo secondo volume lo ritroviamo a qualche anno dopo, le cose potrebbero essere migliorate ma neanche troppo. Ha finalmente finito l’università (nel senso che ha smesso di andarci), è definitivamente uscito di casa ed ha finalmente smesso di perder tempo in occupazioni non retribuite. Oggi ha un lavoro vero.
Ovviamente non è che di questo si ritenga soddisfatto.
Walter era e resta ancora uno schiacciato dal sistema. L’impiego fisso, commesso di una videoteca / edicola decisamente particolare, lo sfrutta e lo opprime… ma Walter non è mai stato un ragazzo di larghe ambizioni, quindi subisce quello che gli continua ad accadere e lo accetta, lamentandosi di quello che lo circonda ma amareggiato dalla vita che gli scivola via senza che neanche se ne accorga.
Da dietro la vetrina dell’edicola guarda quelli intorno a sè che si muovono, che viaggiano, che scoprono il mondo o che semplicemente si muovono come mosche impazzite. Solo lui è immobile, solo lui è incastrato nella sua orrenda quotidianità finchè il colpo di testa non lo prende alla sprovvista: molla tutto, ritira tutti i soldi che ha sul conto corrente, compra un biglietto aereo e parte. Parte, va via, lontano dal suo orrendo lavoro, dalla sua orrenda casa, dalla sua imbarazzante automobile e dalla sciatta esistenza che ormai lo contraddistingue.
Ma in fondo Walter lo conosciamo, non è una persona di questo genere: si è fatto prendere da un raptus quotidiano ma, se non fosse stato per un paio di imprevisti del percorso, si sarebbe arreso molto prima di aver spiccato il volo. Qualcosa gli ha impedito di fermarsi e lo ha obbligato alla partenza ma… dopo un fugace giro dell’europa, un paio di fallimentari tentativi di trovare lavoro come cameriere a londra, dopo meno di una settimana era già di ritorno a casina, senza più un centesimo in tasca e con la speranza che a lavoro non se la siano presa tanto per la repentina sparizione. Lo smidollato is back!
E sapete qual è il colmo? La sua esistenza è talmente irrilevante che a lavoro nessuno se ne è accorto per davvero della sua partenza. Qualcuno ha forse notato l’assenza, senza il minimo preavviso, ma nessuno si è domandato che fine avesse fatto. E nessuno glielo ha domandato quanto improvvisamente è ritornato, salvo in ogni caso il paradosso che, a causa di una serie di sfighe altrui, l’unica volta che a fare qualcosa non ci ha neanche provato, casualmente c’è riuscito.
Lui, l’uomo senza ambizioni per antonomasia, improvvisamente si ritrova ad aver fatto carriera, occasione che comunque, alla sua maniera, si ritrova a sfruttare malissimo. La vede come la scusa per comprarsi un paio di completi giacca e cravatta, comprare un’auto a rate da qua a finchè morte non ci separi, incarnare lo stereotipo di tutto ciò che fino al giorno prima aveva criticato… perchè è molto più difficile avere una propria personalità quando si può copiare quella degli altri?
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