Maschio bianco etero - John Niven

Forse non è intuitivo ricollegare facilmente il nome di John Niven con un’altra delle sue opere, forse più famosa - non so ben dirlo - “A volte ritorno”, mala traduzione di ‘second coming’, uno dei libri più divertenti, irriverenti ed politically s-correct che io abbia mai letto… fino alla fine del primo capitolo. Poi non si capisce bene cosa succeda, forse la bozza del libro è finita nelle mani del praticante sbagliato, forse erano finite le buone idee.
Dopo aver assistito all’immagine di Dio in persona che, tornando dalle vacanze, tira giù santi e madonne vedendo cosa ne è stato del mondo in sua assenza, credevo che con il secondo tentativo non potesse che andar meglio. E lo giuro, fino alla fine del primo capitolo va davvero tutto meravigliosamente bene. Solo che poi Cristo scende sulla Terra e non ha niente di meglio da fare che attraversare gli stati uniti insieme ad un gruppo di strafattoni senza fissa dimora per partecipare ad America’s got talent. O ad X factor. O qualcosa di questo genere. Insomma: davvero Cristo può scendere sulla Terra all’età di 33 anni, per continuare il proprio lavoro e tutto quello che fa è ammazzarsi di canne e partecipare ad un talent show dove tutti lo prendono per il caso umano da compatire dell’anno?
Non voglio dire che Maschio bianco etero sia un libro che non mi è piaciuto leggere. Sarebbe un errore. Però non posso che continuare a chiedermi cosa diavolo passi per il cervello di John Niven quando studia un personaggio.
Io lo adoro per la capacità di delineare casi umani, personaggi sopra le righe ai quali non puoi fare a meno di affezionarti… però, dico io, questo benedetto personaggio lo vogliamo inserire in una trama che abbia un senso? E poi… gli vogliamo anche dare un finale che abbia un senso? Una parabola esistenziale degna di questo nome. 
Ecco in sintesi chi è Kennedy Marr: ex giovane scrittore promettente, oggi scrittore di mezza età, autore di un paio di best sellers in giro per il mondo, finito a scrivere sceneggiature di film perchè economicamente maggiormente produttivi. 
Nasce in una minuscola realtà britannica, in una famiglia modesta, si trasferisce da prima in inghilterra per studiare poi, dopo un matrimonio, una figlia, ed aver vissuto sulle spalle della moglie che lavorava mentre lui inseguiva la propria aspirazione artistica, ha fatto i soldoni e si è trasferito negli stati uniti. Apparentemente ha guadagnato un sacco di soldi ma ha perso tutto il resto: non solo la moglie e la figlia (che vede assai raramente, abitando in due continenti differenti) ma anche l'etica, i valori, la sensibilità. All'inizio del libro è in america, circondato da donne, soldi, droga, alcool... è piacente, sfacciato, ha raggiunto la mezza età ma non lo vuole dare a vedere. Tutto quello che vuole lo ottiene, tutto quello di cui ha bisogno se lo compra. Ama le cose belle, ama le cose di classe. Le cose di classe costano e tutto torna quindi a girare intorno al denaro, che sente e spande senza ritegno alcuno. 
Purtroppo un bel giorno i conti incominciano a non tornare. Le circostanze non gli permetterebbero più di andare avanti di questo passo e si ritrova praticamente costretto ad accettare un'offerta di lavoro neanche troppo allettante, per lui. La docenza per un paio di semestri in un college inglese, lo stesso in cui aveva studiato, nel quale aveva conosciuto la sua ex moglie e dove questa ancora insegnava. Sarebbe potuta essere l'occasione di stare un po' più vicino a sua figlia. Non che la cosa lo allettasse veramente. 
Una volta giunto in Inghilterra, come tutti i veri divi, ha iniziato a fare i capricci. Ha preteso di portarsi dietro il proprio stile, la propria classe ed i propri simpatici passatempi... ed a questo punto avremmo atteso tutti con grande gioia una sorta di "maturazione" del personaggio. Che si avvicinasse nuovamente alla famiglia d'origine, alla madre che stava per morire, alla figlia, che accettasse di non avere più 20 anni e cose di questo genere. Ed invece no. Tira avanti con i propri vizi, tenta di passare da vittima perchè nessuno lo capisce ed il tenero John Niven certa anche di convincerci per un certo periodo che, in fondo, pur essenso un cocainomane, egocentrico, alcolizzato, impertinente... però è un uomo buono. C'è un motivo per cui è diventato così, per cui rinnega il proprio passato, per cui si comporta come se degli altri non gliene dovesse fregare niente. Però non gli riesce molto bene di convincerci. 
Dulcis in fundo: il tentato suicidio. Capita ad un certo punto di scoprire, senza il minimo preavviso, di avere un male incurabile. Non è che si soffermi molto a pensaci o ad analizzare la questione. Le pippe mentali gli salgono al cervello. Avrebbe potuto qua, tentare di riavvicinarsi ai valori di un tempo e piantarla di fare il coglione con le ragazzine. Ed invece no. Spende un infinità di soldi e si regala quella che dovrebbe essere l'ultima serata in gloria della sua vita. Una suite di lusso, liquori e cibo di gran classe... fino al giro in città per toccare per un'ultima volta ogni bar frequentato in gioventù. Una notte di follie e sregolatezza che finisce con lui a testa in giù nel tamigi.
E non riesce neanche a morire. Rimane agganciato con la scarpa ad una ringhiera e verrà portato in salvo da un paio di barboni che, trovandolo appeso come un salame, hanno deciso di aiutarlo. E poi il libro finisce. Così. Anzi. Con lui che decide che, di tutta questa vicenda avrebbe dovuto scriverne un libro. Per guadagnarci anche qualcosa.

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