Piove, sui monti e sulle scale, su petali e parole, sul cuore mio che batte

Da che ho memoria, ogni singola volta che si avvicina ottobre, qua a Genova dobbiamo fare i conti con la pioggia. Certe volte ci va di lusso, altre volte un po' meno. Le volte "drammatiche" ce le ricordiamo bene. Le volte un po' meno drammatiche ci agitano nell'immediato poi passano come se fosse del tutto normale.
Normale è sapere, già ad agosto, che ci sono cose da fare prima della fine di settembre "perchè poi non si sa mai".
Normale è essere attrezzati a rimanere chiusi in casa una settimana senza che ti manchino latte, pane e beni di prima necessità.
Normale è tenere sempre a portata di mano candele, accendini, fiammiferi e torce nell'eventualità.
Poi mi hanno detto che non è normale.
Così anche quest'anno siamo a questo punto: al punto in cui dopo due giorni di pioggia ininterrotta il terzo fu fatale. Le alture smisero di sopportare tutto questo gettito d'acqua e lo riversò per strada. Le strade non furono più in grado di incanalare l'acqua dove sarebbe stato opportuno e questa massa di fango ed altre amenità si è messa a correre a valle non lasciando molto spazio agli ostacoli.
Fino all'orario di cena tutto pareva rientrare ancora nella normalità: l'idea di dover uscire il giorno successivo non era affatto intrigante ma sarebbe dovuto essere un dovere. Forse anche un piacere... ma più che altro un dovere. La pioggia continuava a scendere copiosa dal cielo, la dove tuoni e fulmini la facevano da padrone da ore. Verso le 23 cercare di intravvedere l'asfalto non era particolarmente agevole, il fango incominciava a scendere e, con lui, molta più acqua di quanta non se ne contasse in precedenza... ma nulla di mai visto. Dopo circa mezz'ora un frastuono. Fu all'incirca nel momento in cui la corrente saltata ci riportò direttamente al 1885, senza neanche un passaggio in DeLorean. Che poi, affacciarsi alla finestra per vedere da dove proveniva tutto quel frastuono non è stato neanche così facile: la luce mancava e mancava ovunque. Non solo in casa, non solo in strada. L'impeto dell'acqua è riuscita a sollevare automobile dopo automobile e condurle verso la valle. Qualche freno a mano tirato meglio degli altri è riuscito a contrastare la discesa di un filotto lungo 3 Km. Il treno delle automobili in corsa trovava quindi degli sbarramenti... ma niente di meglio della vettura un po' più lunga delle altre, un po' più sfortunata delle altre, ma in prosieguo anche un po' più fortunata, che è nella corsa verso sud ha abbandonato la sua corsia, è finita in mezzo alla strada ed è finita di traverso, incastonandosi in quelle ancora parcheggiate al loro posto e fermando così la corsa di tutte quelle ancora dietro di se. 
La gente è corsa in strada come se non ci fosse da aspettare neanche un minuto: tutti a fare foto, tutti a guardare la pioggia scendere da un posto privilegiato. Tutti a cercare di assicurarsi la copertina di Studio Aperto grazie ai loro scatti con filtro notturno. Che poi, senza neanche quel briciolo di luce dei lampioni, anche l'effetto notte va a quel paese: viene tutta una bella foto nera che la metà basta. Cari amici vicini e lontani: possibilità che la mamma vi abbia spiegato che non è buona cosa stare sul luogo del disastro, prima che il disastro smetta di esistere? Il motto sarebbe dovuto essere "Salite in casa, cazzo!!", giusto per citare qualcuno che ne sa più di me.

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