Pensando di pubblicità - Pubblicità imbarazzanti #05 Mark Webber
Sono arrivata alla conclusione che anche il mezzo pubblicitario sia una forma di opera d'arte anche se, come avviene in pittura, c'è chi dipinge la Gioconda e chi lancia tempera contro una tela: non vale un'etichetta per promuovere il prodotto. Partendo da questo presupposto non reputo di per se imbarazzante la presenza di chicchessia in uno spot pubblicitario: tutto questo dipenderà principalmente da chi è il personaggio e in quale contesto è andato a infilarsi.
Prendendo ad esempio anche lo spot più brutto della storia, se protagonista è l'ultimo uscito dal grande fratello, il tutto potrebbe risultare buffo, forse provocherebbe una risata anche fuori dal suo intento, ma difficilmente la sua presenza potrebbe essere considerata imbarazzante. La pubblicità è un mezzo mediatico, forse il mezzo per eccellenza, rivolto al grande pubblico proprio perchè da questi sia visto e assorbito: se il valore mediatico del personaggio è molto basso di certo non potrà essere screditato dalla sua partecipazione ad una produzione di basso livello. Certo, non c'è limite al peggio, quando si è a terra si può anche scavare e riuscire a finire ancora più in giù, ma direi di escludere i casi umani dal ragionamento.
Quando il personaggio è mediaticamente di un livello superiore affinchè la sua immagine non decada completamente è necessario che la pubblicità abbia una qualità maggiore dal maggior numero di punti di vista possibili. Per esempio le pubblicità Lavazza con Paolo Bonolis e Luca Laurenti: entrambi hanno una potenza di immagine superiore all'amico di Maria X, mediaticamente hanno un ruolo e una posione tale che il contesto in cui sono introdotti debba essere di una certa qualità: per questo motivo nessuno ritiene imbarazzanti gli spot ai quali hanno preso parte, perchè c'era una scenografia curata, dei dialoghi studiati e delle battute preparate ad arte. Tutto questo rendeva il messaggio pubblicitario gradevole, invogliando lo spettatore ad ascoltare e non a respingere l'ingerenza come ci viene istintivo fare. Quanti di noi guardano veramente la pubblicità quando passa in televisione? Spesso ascoltiamo solo la musica o facciamo caso ad altri dettagli, per esempio la scenetta che precede il messaggio vero e proprio: tutto questo chiaramente quando non ci distraiamo. Questa reazione è più che naturale: ogni mente adulta conosce la potenzialità della pubblicità e anche inconsciamente cerca di resistervi. Per questo motivo ci sono così tanti spot destinati ad un pubblico di bambini \ adolescenti e per questo motivo dietro ad ogni spot c'è così tanto lavoro... o almeno dovrebbe esserci.
Chiaramente, più l'importanza mediatica sale, più la situazione deve essere studiata. Per cercare di rendere meglio l'idea faccio un paio di esempi che vedono come protagonisti personaggi che reputo dello stesso calibro in quanto a potenza d'immagine: sono sportivi, piloti di formula1, hanno una certa fama a livello internazionale e una potenza di parola che ricopre i 5 continenti. Certo, Schumacher è sicuramente più conosciuto di Rosberg o di Webber ma si tratta certamente di livelli già particolarmente alti.
Il primo è chiaramente una di quelle pubblicità che definisco imbarazzanti, la seconda una genialata. Andiamo nel dettaglio: nel primo video c'è un Mark Webber che canta, senza neanche troppa convinzione, una canzonetta per bambini con la stessa espressione di uno che si domanda se il bonifico è già stato versato sul conto e, contemporaneamente, assistiamo allo stesso pilota che, vestito e conciato con la divisa d'ordinanza guida un kart, aggirando cumuli di cartoni del latte. Vuole essere simpatica ma fa ridere, non nel senso buono.
Nel secondo video l'ambientazione è decisamente più studiata: senza dire una parola c'è un gioco di sguardi, di situazioni e di sottintesi verso i quali l'attenzione è forzatamente richiamata. La musichetta in sottofondo è accessoria ma non è il ritornello che deve per forza entrarti nel cervello. Per finire lo slogan: race is a state of mind.
Nel secondo video l'ambientazione è decisamente più studiata: senza dire una parola c'è un gioco di sguardi, di situazioni e di sottintesi verso i quali l'attenzione è forzatamente richiamata. La musichetta in sottofondo è accessoria ma non è il ritornello che deve per forza entrarti nel cervello. Per finire lo slogan: race is a state of mind.
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