Una storia italiana

Era circa metà luglio quando ho deciso di scrivere questo pezzo. Mi sono ritrovata davanti ad una scenetta assolutamente degna di essere conosciuta ma devo ammettere che tutti questi ripensamenti avuti, che mi hanno portato, ormai, alla fine di agosto, hanno sicuramente placato i miei spiriti guerrafondai e da 'ora scrivo un pezzo scandalo' sono passata a 'ora racconto quel che è successo'. Eviterò quindi di mettere nomi ma buon intenditor...
Durante uno dei tanti appelli a cui ho assistito in questa lunga estate universitaria sono finita anche a quello di una professoressa conosciuta ai più per essere un po', come dire, agitata. Boccia uno e boccia l'altro, finalmente arriva il turno di uno quei classici figli di papà che gli tireresti qualcosa dietro solo per il fatto che il caffè non prendono alla macchinetta, come tutti, ma al bar più caro della zona. Della serie "ora vediamo come va a finire" mi avvicino per sentire meglio. Anche in questo caso la prof urla e strepita, gli fa notare un sacco di errori, gli mangia un po' la faccia e, a dirla tutta, effettivamente non aveva dato buone risposte. Dopo due sospiratissime domande arriva il momento fatidico: il verdetto. La professoressa apre il libretto, legge il nome, lo guarda in faccia e pronuncia le seguenti parole: Va bene, si prenda questo trenta.
Beh, cara prof, scusa se ti do del tu, potevi anche evitartela tutta la scenetta, per sua fortuna il ragazzo assomiglia molto al padre anche d'aspetto, non c'era bisogno di leggere il cognome sul libreetto, e te dovresti saperlo bene visto che lavorate insieme!

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