No tu no

Il giorno 8 marzo ho iniziato a scrivere una cosetta in materia di femminismo / festa della donna / discriminazione nel mondo del lavoro o, più semplicemente, discriminazione nei rapporti umani. Ovviamente il ragionamento era scaturito dalle solite chiacchiere inutili nate intorno alla festività, mimose e frasi fatte. Le donne non vanno festeggiate solo l’8 marzo ma tutto l’anno, e allora la festa degli uomini? Ed altre argomentazioni di questo tenore.
Avevo anche già deciso il titolo: non c’è peggior discrimine di chi non vuol essere discriminato, quattro chiacchiere in allegria su quanto, molto spesso, i peggiori “preconcetti” nascano proprio da coloro che non ti aspetteresti mai espressamente riferite al mondo del lavoro, ambientate in un contesto prettamente maschilista per tradizione, là dove paradossalmente donne, che tecnicamente dovrebbero combattere la stessa battaglia, si ritrovano a combattere inutilmente tra di loro. Solo quando mi sono resa conto che stavo scendendo un po’ troppo nel pesantuccio ho deciso di abbandonare il progetto ed accantonarlo per un po’.
Anche perchè certe tematiche non è che diventino mai obsolete, purtroppo.
Oggi mi ritrovo qua all’esito di una mattinata di lavoro, lavoro ambientato sempre in quel contesto prettamente maschilista per tradizione, nel quale poche volte come oggi ho sentito la necessità di andarmi a lavare con la carta vetro pur di togliermi di dosso ogni traccia di quello a cui avevo assistito.
Protagonista suo malgrado di questa vicenda è una di quelle situazioni che, per analogia, potremmo definire, prettamente femminili per tradizione e quello che si è verificato è la conseguenza in-naturale dello scontro tra questi due fronti opposti.
Da un lato un impedimento, medicalmente certificato, a partecipare ad un determinato evento. Impedimento drammaticamente previsto ed anticipato con richiesta di spostare l’evento in oggetto. Da un lato un concatenarsi di reazioni sbagliate, una dopo l’altra, inevitabili come la morte e le tasse.
Non posso essere presente, mi può spostare l’appuntamento?
Risposta: lo decido all’appuntamento stesso.
Un filo di decenza e una punta di buon gusto si sarebbero aspettati una risposta positiva ma a quanto pare così non è stato con la necessità non gradita, per tutti gli altri, di adeguarsi.
Tutti gli altri invitati quindi sono dovuti andare all’appuntamento, teoricamente insistendo anche solo per umana decenza perchè la richiesta amica fosse accolta, nella pratica ritrovandosi a discutere se non fosse il caso di fare a meno di lei e andare avanti.
  • Allora chiediamo noi quello che c’è da chiedere?
  • Nooh?
  • Perchè no?
  • Perchè uno dei partecipanti non può?
  • Cosa cambia?
  • Che siamo esseri umani, brutto stronzo!
Purtroppo non ho potuto rispondere in questo modo ma il tono piccato e lo sguardo infuocato deve aver lasciato poco margine di manovra al non gradito ospite, arresosi per non voler ulteriormente combattere davanti a questa portatrice sana di utero.
Per quanto formalmente ineccepibile, in suo atteggiamento non lasciava adito a dubbio. Era infastidito da tutta quella situazione. Traspariva una certa rassegnazione al non poter più dire / fare / esprimere a voce alta determinate affermazioni, quasi fosse un segno del degrado della professione al giorno d’oggi. Il nostro interlocutore non è stato da meno. Ci siamo avvicinati alla sua scrivania, ho provato, nella qualità di portatrice sana di utero a prendere la parola, dare il buon giorno, presentarmi e ricordargli di quella richiesta per vero già ricevuta, ma il mio compagno di bevute non è stato della stessa opinione. Dato il buon giorno, tre sillabe e mezza dopo mi è stata tolta la parola. Ho provato a riprenderla ma è stata alzata la voce per restare al di sopra della mia. Per decenza e rispetto per il luogo in cui in cui mi trovavo non ho iniziato a dare i numeri, avrei potuto colpirlo accidentalmente ad una caviglia con il tacco 10 di cui ero prontamente munita o trovare metodi meno meschini per farlo, ma ho pensato non valesse la pena, in quel contesto, combattere. Sono rimasta un filo disgustata da come, nell’esposizione del fatto, l’impedimento prettamente femminile sia stato, anche se solo nei toni, sminuito ma la verità è che il mio obiettivo, in quel momento, era proprio la decisione del nostro interlocutore, il tanto agognato rinvio. Che poi c’è stato, figuriamoci, anche più ampio di quanto non sia stato richiesto.
Quello che ancora oggi mi fa accapponare la pelle, torno a dirlo, è proprio il fatto che formalmente non ci sia stato nulla di eccepibile. Come se avessero moderato i toni proprio per evitare che qualcuno partisse additandoli e creando più rumore del richiesto, anche se nello spirito è come se si fossero detti: “rinviaci questo incontro altrimenti questa (più “l’altra” di me, ma il concetto è quello) rompe le palle”. Se io o qualcun’altro dei presenti avessero osato obiettare qualcosa saremmo stati additati a nostra volta come dei pazzi visionari perchè non è stato detto / fatto nulla di sbagliato e perchè la mamma del complottaro è sempre incinta.
La mamma del complottaro sarà anche sempre incinta ma che il nostro interlocutore non mi abbia neanche guardato in faccia e/o rivolto la parola per tutto il tempo non è stata solo una mia impressione. E’ stata talmente poco solo un’impressione che dopo 5 minuti che io e vicino di banco eravamo in piedi davanti alla sua scrivania a mettere in scena quell’orribile teatrino, all’interlocutore gira il cappellino e chiede: ma Pincopallina c’è?
Al mio: "ma sono io!" Non ha mosso un baffo.
Al “sì sì c’è” del mio socio si è placato e ha continuato il discorso che stava facendo.
Amen.

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