Giro coi fusilli crudi e ti chiedo se vuoi una pasta

Potrà sembrar balzano, ma la volta che mi sono fermata a parlare con più profondità e maggiore intensità di fede, di spirito e di anima, è stato davanti ad un toast ed un cappuccino ad un tavolo di un bar. Tra l’altro, si dica che quel bar faceva dei cappuccini che erano la fine del mondo e, a me e a Paola, l’amica con cui ho portato avanti la conversazione, piaceva moltissimo pranzare con toast e cappuccino. Chi osa dire che è una porcata venga bandito seduta stante. Paola, che ovviamente non si chiama così ma facciamo finta di preservare la sua privacy solo per un istante, nella vita aveva subito un grave lutto: quando era poco più che una bambina suo padre era morto all’improvviso. Uno di quei momenti della vita che ti dovrebbero far ricredere seriamente sul senso che tutto questo possa avere: un uomo giovane, in salute, padre di tre bimbi che un minuto c’è, quello dopo non più. Da bambina, sino a quel momento, non si era mai interrogata più di tanto sul mondo e sull’aldilà, su Gesù Cristi, inferi e paradisi. Insomma, come tutti i bambini, frequentava il catechismo come un’attività come altre nel doposcuola ma niente di più.
Nel mio caso è diverso, io non ho mai neanche frequentato il catechismo “obbligatorio”. A sei anni avevo già le idee chiare, dopo scuola volevo andare in piscina … e ci provarono anche ad iscrivermi. Una cosa non avrebbe dovuto escludere l’altra, eppure. La mia famiglia non è particolarmente religiosa, anzi, proprio per niente, era forse convinzione di mia madre che fare ciò che facevano tutti gli altri bimbi della mia età mi avrebbe fatto bene, per socializzare un po’. Io, non mi ricordo perchè, avevo una paura nera del catechismo. La cosa non ha senso, perchè non proveniendo da una famiglia credente i miei contatti con quel mondo sono sempre stati pochissimi, forse mi incupivano le suore vestite dalla testa ai piedi? Forse avevo sentito qualche racconto che mi lasciava un filo prevenuta?
Ricordo anche la volta in cui, trovandomi in campagna, mia madre chiese ad un’amichetta del paese se potevo andare con lei una volta per vedere di cosa si trattava e se mi sarebbe piaciuto. Quando l’amichetta venne a suonare alla porta scoppiai a piangere isterica e non ci fu verso di portarmi in chiesa, anche se si trattava di una chiesetta di campagna, ben lontana dai colossi di cemento armato di città. Questo giusto per riassumere la mia posizione di partenza.
Paola, quel giorno davanti a quel toast e a quel cappuccino, mi fece un discorso che per me, nonostante tutto, ha ancora un senso. La morte del padre fu per lei e per i suoi fratelli uno shock di proporzioni non ben quantificabili. I suoi fratelli erano un po’ più grandi di lei, capirono forse meglio la situazione e reagirono decisamente male. Anche nel suo caso non fu una passeggiata ma, pur tormentandosi per la mancanza nella sua vita che questo lutto le procurava, trovò conforto, almeno un po’, nell’idea che suo padre fosse in un posto migliore. Non l’ho mai conosciuta come una persona osservante, praticante o particolarmente ligia ai dettami cattolici, però era finita a credere in un dio, che doveva per forza esistere, altrimenti sarebbe stata tutta solo e soltanto una sofferenza gratuita.
La mia vita da un certo punto di vista è divisa tra pre e post il primo grande lutto che ho vissuto. E’ stato il punto focale che mi ha fatto uscire dalla mia ingenuità fanciullesca e mi ha condotto davanti alla realtà dei fatti. Si tratta di una ferita ancora aperta che mi ha segnato nel profondo e che ogni tanto sanguina ancora, nonostante siano passati moltissimi anni ormai. Fatico quasi a ricordare se la conversazione al tavolo del bar si sia svolta prima o dopo questo evento, però ogni tanto torno a rimuginarci su. Perchè probabilmente il vero ed unico motivo per cui certi dolori mi tornino periodicamente tanto attuali e tanto acuti è che io non sono mai riuscita a compiere il suo percorso di “beatitudine”, se mi concedete il termine. Non c’è verso, non c’è modo. La mia razionalità mi impedisce di prendere per vero o di poter solo credere in qualcosa superiore alla nostra becera vita terrena. Se io parlo di mancanza di prove, c’è chi mi risponde che certe cose non bisogna saperle ma crederle ed avere fede in tutto ciò. Perdonatemi, ma tutto questo non sta nè in cielo nè in terra. Appunto. Cambio modo di dire. Tutto questo non ha senso, non è dalla mia mente concepibile.
Sempre partendo dalla conversazione rivelatrice, tante volte mi sono convinta che, se tanto tanto fossi in grado di avere un po’ di speranza, fede?, nell’umanità forse mi rasserenerei un pochino, forse devo solo trovare la cosa giusta in cui credere, perchè mica posso credere in qualcosa in cui non credo. Allo stato attuale della mia ricerca sono quasi convinta del fatto che l’ideologia più affine alla mia persona si aggiri in zona pastafariana, magari non la sua frangia più estremista, quella dei matrimoni con lo scolapasta in testa, però in quell’area di pertinenza. Alcuni dogmi andrebbero quasi tatuati sulla pelle, quale ad esempio, “Io preferirei davvero che tu evitassi di sfidare, a stomaco vuoto, le idee odiose, bigotte e misogine degli altri. Mangia, e solo dopo prenditela con gli stronzi”.

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