Il viaggio di Elisabet - Jostein Gaarder

Mi dispiace tanto per Elisabet, sì, senza h finale, ma per me il viaggio finisce qua. E per qua intendo a pagina 82. Con la morte nel cuore. Ora vi spiego perchè.
1. Chi mi conosce un po', nella vita, sa benissimo che uno dei miei imperativi categorici è quello di finire sempre le letture che inizio. Perchè voglio arrivare in fondo per avere piena titolarità di dire che è una merda. Perchè i soldi li ho spesi per l'intero libro e nessuno me li restituisce. Perchè per i romanzi, ho, in ogni caso rispetto. Non mi pare dignitoso lasciare l'opera incompiuta. Piuttosto li finisco e li lancio dalla finestra. Cosa accaduta davvero, tra l'altro. Ricordo anche il titolo: Lo scudo di Talos, di Valerio Massimo Manfredi. E' capitato ben poche volte che non arrivassi in fondo ad un libro... e di quei pochi casi me ne vergogno, sia chiaro. Forse un giorno farò anche l'elenco.
2. Perchè Jostein Gaarder è l'autore del mio romanzo preferito... e riponevo davvero tanta aspettativa in qualcos'altro di suo. Speravo che potesse essere altrettanto bello. O almeno bello abbastanza. Ho il cuore in frantumi, non rivolgetemi la parola che potrei reagire male.
La verità, però, in fondo, è che alla soglia dei 30 anni non posso più perdere tempo a fare cose che non mi piacciono, a perder tempo in letture che non mi aggradano, anche se arrivare in fondo alla lettura mi garantirebbe di avere la strada spianata per fare di lui ciò che più voglio. Insomma. Devo porre dei filtri. Devo salvare solo ciò per cui valga la pena. Almeno devo provare a farlo. 
Il viaggio di Elisabet parte su un presupposto simile a quello dell'enigma del solitario. C'è un bambino che, insieme al padre, alla vigilia di dicembre si reca ad acquistare un calendario dell'avvento. Inciriosito ed alla ricerca di qualcosa di particolare e meno commerciale del solito, in una libreria, incappa in un vecchio calendario di cui anche il proprietario non ricordava l'esistenza. Glielo regala e, da quel momento, inizia l'avventura per il piccolo Joakim.
Il vero problema è che, ciò che a noi viene rappresentato e definito come una grande avventura, nella realtà, è la cosa più noiosa di sempre. 
Ogni capitolo del libro è dedicato ad un diverso giorno del mese di dicembre. Ogni mattina Joakim apre la finestrella del proprio calendario e, all'interno della stessa, oltre all'immagine di turno, trova anche un piccolo bigliettino, tutto accartocciato e scritto con caratteri minuti, che, giorno dopo giorno, gli racconteranno di Elisabet e del suo viaggio, da un centro commerciale norvegese sino a Betlemme, a ritroso nel tempo e nello spazio, sino alla notte della natività. 
Oltre al tasso di cattolicità dell'intera vicenda, che supera di gran lunga il livello del mio tollerato, uno dei principali problemi della prosa è che, a tratti, sembra quasi voler riprendere lo stile narrativo degli autori di Carabinieri. Probabilmente niente affatto confidente del fatto che la trama sia tanto fitta ed interessanta da tenere il pubblico sveglio, di tanto in tanto ripropone un bel riassunto. Un bel riassunto della storia più lenta e ripetitiva del mondo che non avrebbe affatto avuto bisogno di un riassunto, perchè basta andare avanti con la storia che già di per sè si vedrebbero accadere le stesse identiche cose. Torno a ribadire: io mi sono fermata a pagina 82. E già così ho avuto modo di incontrare più di un riassunto.
Probabilmente questo libro è solo entrato nella mia vita nel momento sbagliato.

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