Quello che capita #7 chi ben comincia

Capita certe volte che le settimane inizino un po’ storte. E continuino anche peggio.
Non ho mai subito il peso del 29 febbraio, c’è chi dice che sia un giorno regalato, c’è chi dice che porti sfortuna, un po’ come il venerdì 17. A me è sempre piaciuto, lo ammetto. Mi piaceva ai tempi della scuola datare tutto quello che facevo con quella data “insolita”. Ed anche adesso… spero sempre di avere qualcosa di bello ed importante da scrivere su cui inserire 29 febbraio. Perchè è una cosa strana, una cosa rara. Altro che 29 settembre… battisti avrebbe dovuto cantare del 29 febbraio, anche se poi, inevitabilmente, la canzone sarebbe passata in radio molto più raramente. Prima di dire cose sgarbate, sia chiaro, io non è che di 29 febbraio ne abbia visti molti… forse sei o sette (lo sostiene la matematica): io me ne ricordo (ovviamente) anche meno.
Quest’anno la data fatale è coincisa con il lunedì. Ogni lavoratore lo sa: il lunedì è nefasto. La concomitanza con il 29 febbraio deve aver fatto il resto. Prima di tutto questa settimana è iniziata con la pioggia, molta pioggia. Il che a Genova spesso coincide con delle catastrofi inenarrabili, per questo mi verrebbe da aggiungere un “ancora più nefasto”, che non si sa mai. Pur di far finta, una volta ogni tanto, di ascoltare parenti ed affini entro il sesto grado, che mi invitano a non uscire con mezzi a due ruote quando fuori piove, mi sono svegliata di buon ora ed ho indossato scarpe comode, pronta ad affrontare la grande attraversata con i mezzi pubblici. Il servizio pubblico genovese, ammettiamolo, non è che sia proprio il nostro fiore all’occhiello.
Giusto il tempo di arrivare alla fermata dell’autobus che già era nell’aria che sarebbe accaduto qualcosa. Vedo vigili urbani che fissano un sottopassaggio, ma ottimisticamente ho pensato che stessero verificando che non ci fossero allagamenti dovuti alla pioggia (sì, in questa città accade anche questo, ringraziando l’urbanistica e pianificazione delle colombiadi). Nel frattempo non passava neanche un autobus ma, sempre in virtù della consapevolezza, insita in ognuno di noi, della funzionalità del servizio pubblico, nessuno si stava realmente preoccupando. Qualche minuto dopo fu tutto molto più chiaro: da quello stesso sottopassaggio che poco prima tutti i vigili stavano osservando con attenzione uscì una fumata bianca, poi il rumore di petardi scoppiati, poi un corteo di gente incazzata. Mai quanto lo eravamo noi alla fermata dell’autobus. E nessuno sino a quel momento si era preoccupato di farci sapere cosa stava accadendo. Nessuno, sino a quel momento, si era degnato di farci sapere che avremmo potuto aspettare la primavera araba prima di salire su un autobus.
Munita delle mie scarpe migliori io, così come molti altri accanto a me, mi sono fatta coraggio ed ho deciso di affrontare l’attraversata a piedi. Alla vecchia maniera. Perchè tutto questo Yoga dovrà pure servire a qualcosa. Tutto questo sotto la pioggia. Ovviamente.
Arrivata quindi sul luogo di lavoro con 40 minuti di ritardo, dopo una doccia offertami da un signorotto di età avanzata, alla guida imprudente della sua vettura, giunta quando ero quasi al traguardo, proprio nel momento in cui incominciavo a pensare di essermela scampata, appena aperta la porta mi è stato tutto terribilmente chiaro: quanto vissuto sino a quel momento era solo l’inizio di una settimana interessante.

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