La mafia uccide solo d'estate

Da quando è uscito questo film non si fa altro che parlarne un sacco bene. Non si fanno altro che complimenti a Pif, per tanta bravura in un'opera prima. Non si fanno altro che applausi al messaggio portato ed al modo in cui lo si è portato.
Io ho sempre avuto un certo timore ad avvicinarmi a questo film. la verità è che Pif o piace o non piace. Ha uno stile tutto suo di fare televisione, di presentare quello che fa, di raccontare quello che vede che non può lasciare indifferenti. "Il testimone" è diventato un cult nel suo genere: riesce ad essere un mezzo per intrattenere o documentare grazie all'estrema flessibilità del format, in grado in questo modo di non passare mai di moda. Porta in televisione un prodotto di alta qualità a basso costo, ed è la ricetta per la felicità del mondo di oggi. A me, personalmente, lo stile di Pif piace... ma l'idea di vederlo allontanato dal testimone, dal suo prodotto, da quello che è solito fare e che gli riesce bene, mi ha fatto un po', vagamente, proccupare per quello a cui mi sarei trovata davanti.
Non è neanche tanto una preoccupazione legata a Pif quale persona fisica. Decisamente è più estesa al mondo della cinematografia italiana. Non è che voglio essere razzista, al contrario. Io amo il made in Italy, amo l'Italia. Amo la cultura, la tradizione, la cucina. Ora dico anche pizza e mandolino e faccio la frittata. Apprezzo veramente tutto quello che il nostro paese è stato in grado di offrire al mondo e quello che ancora sfoggia in tutta la sua ordinaria tranquillità. Però non si può essere patrioti ad occhi chiusi. E' evidente al mondo che da molti punti di vista c'è qualcosa che non va. Vai in Inghilterra, accendi la televisione e trovi Dottor Who. In Italia accendi la televisione e trovi Don Matteo. Il paragone è impietoso. Fermo restando che io farei una statua pure a Don Matteo patrimonio dell'Unesco, il paragone è impietoso. Doctor Who: l'uomo del tempo che viaggia per le galassie a bordo del Tardis... qui, se proprio proprio vuoi andare a cercare un dottore ti becchi Lele Martini che con il tempo che passa non ci ha mai fatto pace e continua a sfornare figli come fosse un coniglio.
Ma la mafia ucciderà anche noi?
Tranquillo. Ora siamo d'inverno. La mafia uccide solo d'estate.
Però sto perdendo il punto. Il punto è: ero preoccupata per quello a cui mi sarei trovata davanti. Poi ho preso il coraggio a quattro mani... e tutti avevano ragione! La mafia uccide solo d'estate è un film bellissimo, uno di quelli che dovrebbe essere visto nelle scuole ma che tutti dovrebbero rivedere, giusto per non dimenticare.
Spero che i puristi della critica cinematografica non si innervosiscano per il paragone ma, io, in questo film, ci ho rivisto un po' La vita è bella. Non so se rendo l'idea.
Alla base della storia una vicenda drammatica, una vicenda che fa parte della vita di tutti ma, ancor più della nostra, in quanto italiani. Parla di un dramma storico ambientato in un periodo in cui questo era probabilmente all'apice della sua ferocia tenendo ben presente che, tuttavia, non si tratta di una fase del genere umano ormai chiusa, sigillata e superata. Tratta di un dramma ma lo fa in maniera comica, non togliendogli in questo modo affatto di gravità.
La mafia a Palermo ha sempre influenzato la vita di tutti e in particolar modo la mia.
La Mafia viene vista dagli occhi di Arturo, un bambino che, all'inizio della vicenda, ha appena una decina d'anni. Arturo vive a Parlermo, sono gli anni 80 e, per quanto la vita faccia finta di trascorrere normalmente tranquillamente per tutti, è evidente che la mafia faccia parte della vita di tutti, anche di quelle persone "per bene" che non guardano, non si interessano, non domandano. Il filo conduttore di una normale giornata palermitana, tra un'auto esplosaa qua ed una sparatoria accaduta là, non è che queste cose non accadano: solo che non è una cosa di tutti. E' una cosa che non tocca la gente normale. 
La stessa esistenza di Arturo è una chiara dimostrazione di quanto questo modo di pensare e di vedere le cose sia sbagliato. Lo dimostra il momento del suo concepimento, avvenuto in Viale Lazio il giorno stesso della strage del 1969. Lo dimostra l'incontro fortuito con Toto Riina, in ospedale, il giorno della nascita del fratellino, vicino di culla dell'erede del boss. Lo dimostrano tutti gli incontri, più o meno fortuiti e casuali che Arturo fa lungo il suo percorso. Le persone che incontra al bar, quelle che lo saluteranno per strada.
La vita di Arturo viene però segnata il giorno in cui farà la conoscenza di un personaggio "particolare" della politica italiana: il giorno in cui, per la prima volta, vedrà alla TV Giulio Andreotti. Quello che racconta a Maurizio Costanzo il quel momento sembra essere la risposta a tutte le sue domande: Giulio Andreotti sarà il suo nuovo idolo. L'apice probabilmente arriva nel momento in cui si vestirà proprio da Giulio Andreotti alla festa di carnevale della parrocchia: nessuno lo riconosce, qualcuno lo confonde con il Gobbo di Notre Dame ma lui porterà avanti a testa alta la passione e la fiducia per quello che il suo idolo rappresenta.  Arturo è certamente un bambino sveglio e curioso: attento a leggere quello che i giornali riportano e sentire le ultimo notizie al telegiornale. Si tratta pur sempre però di un bambino, molto ingenuo e non ancora sufficientemente critico davanti a quello che gli viene mostrato.
L'onorevole Andreotti dice che l'emergenza criminalità è in Campania e in Calabria. Generale, ha forse sbagliato regione?
Uno dei momenti più significativi è certamente l'incontro con il Generale Dalla Chiesa. Arturo ha appena vinto un concorso scolastico grazie al quale ha la possibilità di cimentarsi veramente nella professione di giornalista. Leggendo dell'arrivo del Generale Dalla Chiesa in Sicilia, dopo aver discusso della faccenda con l'amico \ vicino di casa giornalista decide di andare a porgli la domanda che tanto gli frulla per la mente. Risce a passare inosservato davanti a molti controlli ed a stupire, grazie alla sua fanciullesca ingenuità il suo interlocutore che accetterà volentieri di farsi fare la tanto agognata domanda: ma se Andreotti dice che in Sicilia non c'è alcun problema, lui, cosa è venuto a fare a Palermo? Quello che Dalla Chiesa avrebbe voluto rispondere non lo sapremo mai, ma pare piuttosto eloquente lo sguardo di rassegnazione davanti a quel bambino che, certamente, non aveva colpe per quello che stava accadendo ma rappresentava chiaramente la realtà locale, la realtà di chi prende per normale quello che vede accadere tutti i giorni e si sforza di nascondere sotto il tappeto quello che non va.
Qualche giorno dopo la rilevazione. Così. Sbattuta a caratteri cubitali in prima pagina dai giornali. ASSASSINATO DALLA CHIESA. Lui era così sicuro per quella domanda e, ora, non c'è più modo di chiedere scusa. Era così sicuro perchè glielo aveva detto Andreotti. Perchè Andretti gli aveva fatto fare quella domanda?
Picciriddu, devi sapere una cosa: a Palermo ammazzano più le femmene che l'infarto.
Uno dei meriti del film è sicuramente quello di essere riuscito con maestria ad integrare la realtà con la finzione. Ad incorporare, nelle scene del film, filmati autentici, tanto più crudi quanto più evidentemente autentici. Ad aver utilizzato le basi di un documentario per aver montato una storia evidentemente piacevole da seguire ma, non per questo, adatta solo ad intrattenere.
Quando sono diventato padre ho capito due cose: la prima che avrei dovuto difendere mio figlio dalla malvagità del mondo; la seconda che avrei dovuto insegnargli a distinguerla.

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