Ma come fa a far tutto? - Allison Peason

Da queste parti, un certo tipo di persone vengono chiamate NG: nemiche giurate. Si tratta di quelle persone (per fatalità sono sempre donne, non so se le cose siano collegate) che si lamentano, tanto, sempre, giorno e notte! Non fanno altro che lamentarsi di quanto a loro quella cosa non vada bene, di quanto certe cose accadano sempre a loro, di come siano le persone più sfortunate, stanche, impegnate sulla faccia della terra... sottointendendo, chiaramente, che te invece non fai una mazza, che sei una raccomandata dalla vita e che a te, invece, va tutto sempre e comunque a fortuna. Ma come fa a far tutto? è un libro scritto da una NG, senza dubbio. 377 pagine di lamentatio incessante senza che questa, chiaramente, permetta alla storia di svilupparsi e di evolversi in qualche modo. 
Ho incontrato questo libro per caso molto tempo fa in biblioteca. Erano tempi ancora precedenti all'uscita del film (ed anche alla sua lavorazione, direi), quando in biblioteca, intenta a studiare un orripilante materia (tipo diritto della navigazione, o amenità del genere) ho alzato gli occhi da libro ed una carina copertina azzurrognola dallo scafale a fianco ha attirato la mia attenzione. Lo prendo e inizio a leggerlo: giusto due pagine prima di tornare alle questioni di competenza in alto mare aperto e vengo attratta dallo stile di scrittura, come un moderno flusso di pensiero che dava molto ritmo al narrato. Mi decido e nel giro di pochi giorni lo compro. Da questo momento il libro rimarrà ad impolverarsi sulla libreria un'eternità: fa in tempo ad essere annunciato, lavorato e diffuso il film (che chiaramento non ho mai visto), io supero non solo quell'esame ma anche molti altri... e poi un bel giorno arriva l'attimo di riprendere la simpatica copertina azzurra tra le mani e scoprire che quel flusso di pensieri così particolare, così catchy, così attraente tira avanti per più di trecento pagine, tutte piene zeppe di lamentele, vittimismi ma, contemporaneamente, vanti da supereroina. Insostenibile. 
Come, forse, è noto la storia è narrata in prima persona da una donna, giovane, madre di due figli e lavoratrice: fulcro dell'eterna piagneria è il molto tempo che è costretta a dedicare al lavoro, il poco tempo che è costretta a riservare ai figli, tutte le scorciatoie che riesce ad escogitare per far finta di essere una madre modello come le altre e il maschilismo imperante nel mondo del lavoro che le impediscono di puntare gli occhi su qualsiasi altra scelta. Apice conclusivo di quello che dovrebbe essere un percorso di autodeterminazione della donna lavoratrice, in grado di godere a pieno di tutti i diritti che la società moderna e la natura le hanno riconosciuto (quindi il diritto di essere madre e il diritto di lavorare), vede però la nostra protagonista licenziarsi, lasciare la città e godersi marito e figli nel migliore dei modi. Ma come? Dopo tutte le chiacchere fatte l'unica soluzione trovata è quella di arretrare nuovamente e riconoscere che una buona madre è solo una madre che non lavora? Mi stupisce che certe cose siano state scritte da una donna, ma soprattutto il finale mi sembra un insulto a chi non può permettersi di rinunciare al lavoro, come se la si additasse e si dicesse che lei non può essere destinata ad avere una famiglia serena. 
Note positive di questa lettura: mi ha reso una persona migliore. Quando sento di dovermi lamentare per qualcosa mi fermo, rifletto, calcolo quando è stata l'ultima volta che mi sono lamentata per qualcosa e se non è passato così tanto tempo lascio perdere, perchè capisco la noia che può provare la persona davanti a me. 

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