L'arte del copia incolla

Ne avevo parlato tempo fa promettendomi di tornare in argomento ed eccomi finalmente qua... a pubblicizzare un altro pochino questo simpaticissimo libro e lo faccio riportando un piccolo estratto analisi quasi perfetta della canzone 'gli anni' degli 883:

Ci sono quelli che cantano i vincitori. Non sono molti, perché non è che convenga. Da una decina d'anni si sprecano le canzoni sull'Inter, mentre quelle sulla Juve non sarebbero popolarissime. E poi i vincitori magari domani cominciano a perdere, e allora la tua canzone diventa un gatto nero. Perciò, per cantare i vincitori è preferibile che questi abbiano fatto una brutta fine (Coppi di Gino Paoli, Ayrton di Lucio Dalla, e i pezzi che Alexia nonché Baccini hanno dedicato a Marco Pantani).
Poi ci sono quelli che cantano i perdenti, e non sono mica pochi. Di fatto, è cantando i perdenti che ci si arricchisce. I perdenti in questione non comprano la canzone, ma tutti gli altri rimangono ammirati. Ecco perché da Aiace (canzone di Vecchioni), sconfitto da Ulisse a Vilcoyote (canzone di Finardi), sconfitto da Bipbip, non C'è leggendario antieroe la cui vana lotta non sia stata omaggiata.
Max Pezzali canta i pareggianti. Quelli che quando va bene una non ci stanno dentro (6 1 mito), ma che più spesso se ne stanno lì a subile le chiacchiere dell'amico dell'amico sborone (6 1 sfigato). Ultimamente l'orsacchiottone pavese si è un po' imbolsito fisicamente (si è trasferito a roma e ha preso 25 kg. Giustificandosi con la frase: “Magno!”) e forse artisticamente non ha più i guizzi estrosi della prima giovinezza, ma nel primo periodo della sua produzione con marchio 883 ha tratteggiato la contemporaneità molto meglio dei suoi colleghi più celebrati che guardano il mondo dall'alto del monte Parnaso. I suo personaggi, giovani impiastri qualunque, hanno conquistato fanciulle a colpi di tappetini nuovi
Arbre Magique e hanno sofferto la paranoia della vita familiare, sentendosi rinfacciare il temuto Questa casa non è un albergo. Sia chiaro, Pezzali ha anche regalato danni biologici (certe canzoni ma soprattutto il ruspante film Jolly blu). Però gente, pochi brani in Italia investono con la slavina di angoscia provinciale contenuta in con un deca o weekend. La presente gli anni è per certi versi meno drammatica delle due testè citate ma, come vedremo, fotografa un fenomeno ancora più diffuso.
L'inizio è laconico: “stessa storia, stesso posto, stesso bar”. Parentesi: togliete il bar dalla canzone italiana e se ne vanno a casa il Roxy bar di Vasco, il Bar Mario di Ligabue, i Quattro Amici al bar di Paoli, i calciatori falliti di De Gregori “che adesso ridono dentro a un bar” e non avete idea di quanta altra roba. Ma per Max Pezzali, il bar è centro dell'universo (e obiettivamente il suo fisico inizia a risentire di tutti quei boeri). Il suo coetaneo Jovanotti fa il Marco Polo che si spinge fino all'ombelico del mondo; Max Pezzali è il Dr. Livingstone del caffè Gran Mokito, e ha probabilmente nel cassetto tutta una serie di suite sul calcio balilla e la cassiera.
Non fatevi ingannare pertanto dal verso successivo: “Non lo so che faccio qui”. La risposta è: stai tirando le sette e tre quarti come tutti i santi giorni. Ma lui, per darsi un contegno, esce dal bar come se potesse farne a meno: è un po' come se Trinidad decidesse di separarsi da Tobago. In tale frangente, vede “i fari delle auto che mi guardano e sembrano chiedermi chi cerchiamo noi: gli anni d'oro del grande Real, gli anni di Happy Days e Ralph Malph.” Che poi erano anche gli anni di “che belli erano i film”, gli anni dei “Roy Rogers come jeans”.
Precisiamo, per capire lo spessore di Pezzali (ove ce ne fosse bisogno, vista l'inarrestabile espansione del suo girovita), che quuesto brano è del 1996, e quindi precede Internet e quelle stucchevoli catene che spargono il germe della nostalgia per gli anni settanta e ottanta. “E vi ricordate il Giocagoal, Jimmy Connors, la Zundapp, Jeeg robot d'acciaio, Drive in, Burghy, Chiriaco de Mita...” Che palle. E per di più, Ciriaco De Mita c'è ancora.
Poi arriva “una coppia che conosco, avrà la mia età. Come va, salutano così. Io vedo le fedi alle dita di due che, porco Giuda, potrei essere io qualche anno fa”. È il clou della canzone, come la ricotta nel calzone.

Commenti