Sì, no o scheda bianca?

Nei giorni 12 e 13 giugno 2005 la cittadinanza italiana è stata chiamata al voto per decidere se fosse giusto o meno abrogare alcune parti di una legge che riguardava la procreazione assistita.
Per quanto mi riguarda è stata la mia prima volta, avendo compiuto solo da pochi mesi 18 anni. Ogni cosa che pertinente con referendum mi sembrava elettrizzante, a partire delle pubblicità televisive che spiegavano i quesiti fino ai miei dubbi sul ripiegare la tessera, ma provate a immaginare lo stupore che ho provato sentendo ai telegiornali e leggendo sui quotidiani che molte alte cariche dello stato incoraggiavano a non andare a votare. Avevo passato giorni a cercare un opinione personale sulla questione discussa, e proprio in quel momento qualcuno mi stava chiedendo di rinunciare a quel esperienza, a quel diritto.
Perché mai avrei dovuto rinunciare a esprimere la mia opinione? Perché mai dei cittadini avrebbero dovuto rinunciare ad esprimere la loro opinione?
Ormai è passato un po' di tempo da quel 13 giugno ed è ben noto che è stata una buona percentuale di elettori a declinare l’invito e, di conseguenza, seguire le indicazioni di coloro che inducevano pubblicamente all’astensione, e nel mio piccolo e nella mia ingenuità mi chiedo come sia possibile scegliere di non presentarsi neanche ad esprimere la propria opinione, quando sarebbe bastato seguire un po’ di televisione o leggere qualche giornale per farsene una. Ma se poi alla fine quest’opinione personale proprio non vuole nascere dalla nostra testa non si potrebbe sempre lasciare scheda bianca? … sarebbe come dire: non so cosa sia meglio, ma almeno tengo saldo quel diritto per cui tante persone hanno combattuto.
Sono partita, effettivamente un po' da lontano. Oggi non ho più 18 anni ma siamo quasi alla vigilia di un Referendum e credo che queste argomentazioni siano sempre valide. Non più forse, per l'entusiasmo di andare al seggio, ma per quello che votare ancora può significare.

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